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Bluffare o non bluffare…ecco il dilemma! (3a parte)

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Bluffare o non bluffare…ecco il dilemma! (3a parte) 0001

Concludiamo questo rapido excursus nell’ “arte” del bluff, analizzando il ragionamento sulle ultime due street. Come nei primi due articoli, ci soffermeremo sul thinking process che deve sorreggere la scelta di effettuare un bluff, piuttosto che su esempi di mani specifiche, perché risulterebbe troppo dispersivo.

Iniziamo dicendo che al turn, dobbiamo assolutamente essere in heads up per pensare ad un bluff! Con 4 carte sul board e un multiway pot, diventa davvero difficile ed azzardato avventurarsi in un bluff. La quarta carta del board aumenta notevolmente le possibilità che qualcuno abbia chiudo un punto, magari anche elevato.

Se siamo stati gli aggressori nella fase preflop e al flop, il bluff più logico al turn è la cosiddetta 2nd barrel, la “seconda pallottola” da sparare soprattutto contro giocatori passivi e inclini al fold. I board ideali sono quelli scollegati (dry), che proprio per questa ragione abbiamo bettato al flop: il turn deve essere un “mattone”, cioè una carta che non si collega ad eventuali progetti, o un Ax che potrebbe indurre al fold chi ha chiamato al flop con un punto basso o in puro floating.

Se invece non siamo stati gli aggressori nelle fasi precedenti della mano, dobbiamo distinguere due situazioni ben diverse, ovvero se parliamo prima o dopo il nostro avversario.

Come sempre nel poker, parlare per secondi è la situazione migliore. In questo caso possiamo sfruttare un eventuale check dell’OR, o rilanciare una sua bet se la carta al turn può prefigurare la chiusura di un progetto. Il board ideale per fare questo, è un board drawy (appunto che presenta la possibilità di una draw chiusa), meglio se “basso”. Ad es., 3x5x6x rainbow al flop, e un 7x che scende al turn: possiamo simulare tranquillamente di aver chiamato la c-bet al flop con un 4x in mano, oppure di avere realizzato doppia al turn con 6x7x, o di aver settato al flop e giocato uno slow play. Lo stesso ovviamente con progetti di colore che potremmo aver chiuso al turn.

Più attenzione invece va fatta ai board drawy “alti”, quelli che per esempio offrono combinazioni con QxJx e 10x: in questi casi consiglio di tentare uno steal solo se siamo in semibluff, ovvero se abbiamo una mano che potrebbe chiudere un punto importante al river, in caso di call.

Se invece parliamo per primi, la situazione è meno facile. Personalmente non mi ha mai convinto l’idea di uscire in bet al turn, dopo aver “flottato” al flop. Se voglio simulare di aver chiuso un punto importante (set, scala, colore), l’azione più consistente è quella di un check-raise. Se il nostro oppo non ha un punto, qui folderà sicuramente.

Ci vuole coraggio e soprattutto decisione (maturata in precedenza!), per realizzare questa giocata. A mio parere giova, in tutti i casi, avere un’immagine abbastanza solida al tavolo o comunque di difficile lettura e puntare su un avversario in grado di leggere l’azione. Insomma, non bluffiamo sul maniac di turno o se il maniac siamo noi (causa tilt temporaneo...)!

Se invece il check-raise non è nelle nostre corde, il mio consiglio è di fare check al turn e poi valutare: se l’oppo checka dietro, allora possiamo pensare ad un bluff al river, uscendo in bet su un board adeguato (vedi le considerazioni fatte in precedenza).
La donk-bet in bluff al turn la consiglio solo come arma da usare raramente, per variare il gioco e magari solo dopo aver mostrato al tavolo un’azione simile con un punto fatto.

E infine siamo arrivati all’ultima street, il river.
In realtà le considerazioni fatte in precedenza sono più o meno le stesse, tenendo conto che con 5 carte sul tavolo, tutto diventa più complesso, per noi ma anche per il nostro avversario!

Mi preme mettere in evidenza come al river la size della bet sia forse l’aspetto decisivo. La size va commisurata al pot e al tempo stesso deve essere convincente.

La “micro-bet” (o post oak bet, come la definisce Harrington), non mi piace, soprattutto nel gioco di oggi che è piuttosto incline al call. Anche l’over bet (puntare più del piatto o andare in all-in) è una mossa che può risultare quanto meno dubbiosa agli occhi di un giocatore esperto. Tuttavia è importante puntare un importo che sia significativo rispetto allo stack (se siamo in torneo) dell’avversario. Se vuole chiamare, deve prendersi un rischio.

Alla fine, il mio consiglio è questo: non guardiamo le nostre carte e immaginiamo di avere davvero un punto. Chiediamoci: se davvero avessi in mano quel punto, quanto metterei nel piatto? E da qui troveremo la risposta alla giusta size per un bluff.

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