E se PokerStars compra Full Tilt? La parola all'esperto
Twitter è troppo spesso utilizzata per esternare messaggi insignificanti. Ma il Tweet di Alexander Dreyfus, CEO di Chilipoker, del 24 aprile scorso vale un milione di tweet standard. Ha scosso il mondo del poker come non succedeva dall’aprile dell’anno scorso, in occasione del Black Friday, il primo atto di questa stessa saga, quando su internet si diffuse come uno tsunami la notizia della imputazioni del Dipartimento di Giustizia di South New York a carico di PokerStars, Full Tilt e Absolute Poker e la connessa immediata chiusura delle attività di gioco negli Stati Uniti. “PokerStars acquista Full Tilt per 750 milioni di dollari, -dice il Tweet - chiude la vertenza con il Dipartimento della Giustizia e rimborsa per 330 milioni di dollari i giocatori. Sono impressionato.”. Anch’io.
È vero? O no? E se è vero, cosa succederà? Stiamo ai fatti ed alle dichiarazioni. PokerStars si è limitata ad una laconica dichiarazione del portavoce ufficiale Eric Hollreiser: “Come sapete PokerStars ha in corso trattative con il Dipartimento della Giustizia. Ma le trattative per la risoluzione di una vertenza legale sono confidenziali. Non possiamo rilasciare alcun commento riguardo alle voci sulle trattative in corso.”. Il DOJ a sua volta ha declinato ogni richiesta di produrre dichiarazioni. Una chiave per capire il puzzle è l’improvviso abbandono del progetto di acquisizione di Full Tilt da parte del Groupe Bernard Tapie, concomitante con la voce riguardante l’acquisto da parte di PokerStars. Tapie il 24aprile annuncia che “Dopo 7 mesi di lavoro intenso i nostri sforzi per l’ottenimento dell’approvazione finale del Dipartimento della Giustizia ad acquistare gli asset di Full Tilt Poker si sono conclusi senza successo.”. Il progetto sarebbe crollato per due motivi. Il primo è l’incapacità di soddisfare la richiesta del DOJ di garantire la piena restituzione dei fondi dei giocatori entro 90 giorni. Il secondo sembra sia una “irrisolvibile complicazione legale”, cioè il rischio che la liquidazione degli asset di Full Tilt, prevalentemente ubicati al di fuori degli Stati Uniti, possa essere dichiarata illegittima dal tribunale di uno dei Paesi che ospita gli asset, costringendo il cessionario a farsi carico dei debiti insoluti di Full Tilt. Tapie ha rinunciato molto a malincuore, anzi pare abbia subito tentato un piano di riserva, proponendo collettivamente l’assunzione alle trenta persone chiave di Full Tilt in una nuova azienda, con l’obiettivo di creare e lanciare una nuova piattaforma ed un nuovo brand. Non pare che ce l’abbia fatta.
In conclusione, sì tra PokerStars e il DOJ ci sono trattative, ma nulla sappiamo dai diretti interessati. A mio avviso la trattativa è concretissima ma tutt’altro che conclusa. PokerStars mette (metterebbe) sul piatto la restituzione di tutti i fondi ai giocatori e, evidentemente, accetta il rischio della “irrisolvibile complicazione legale” che spaventava Tapie. Contemporaneamente chiude la causa civile con la giustizia americana, in vista di un futuro rientro sul mercato americano, questa volta nella legalità. Con la forza rappresentata da 750 milioni di dollari. Come termine di confronto, PartyGaming (ora bwin.party) patteggiò con il DOJ nel 2008 la chiusura del procedimento nei suoi confronti per un importo di 300 milioni di dollari.
L’operazione, se si concluderà, è certamente un costoso ma grande successo di immagine e di business per PokerStars. Full Tilt, il grande rivale, è conquistato. Il prodotto, la tecnologia e la customer base di Full Tilt rappresentano una eccellenza del poker che non è seconda a PokerStars stessa. Nel nuovo contesto i giocatori torneranno con rinnovato entusiasmo alla amata piattaforma, grati di avere recuperato il proprio bankroll e piuttosto tranquilli riguardo alla sua sicurezza per il futuro.
Sono state espresse perplessità riguardo al consolidamento dell’offerta che questa acquisizione determinerebbe, in considerazione della posizione di leadership che già Pokerstars detiene. La perplessità è suscitata non semplicemente dalle quote di mercato che sarebbero controllare assieme dalle due piattaforme, ma anche dalla prossimità del posizionamento. Piattaforme mono-prodotto, mono-operatore, stretta identificazione con il gioco live. Questo però significa che Full Tilt potrebbe riappropriarsi della propria customer base e quota di mercato, che nel corso dell’anno si è spostata in gran parte su PokerStars. Inoltre, il mercato del poker internazionale resta frazionato e dinamico, caratterizzato dalla presenza di numerosi player, nuovi ingressi e cambiamenti legislativi che aprono nuovi scenari competitivi.
A mio avviso, se l’acquisizione avverrà, il vertice di questo impero nell’interesse dell’azionista e del mercato dovrebbe mantenere separate due aziende e due management distinti, con brand, tecnologie, marketing, operation separati, in competizione tra loro, alla ricerca continua dell’eccellenza e della soddisfazione del giocatore attraverso la sfida reciproca. Le sinergie e le economie di scopo dovrebbero essere operate solo a livello molto alto, sulle questioni che riguardano il rapporto con gli Stati, le leggi, le istituzioni, il sociale, insomma il gioco responsabile, la sicurezza, la legalità, le regole nazionali e transnazionali, etc., cioè gli aspetti sui quali il valore per il mercato e per l’azienda non è la differenziazione dell’offerta ma è invece lo sviluppo di un contesto e di regole più efficienti, sicure e performanti.
Giovanni Carboni, esperto del settore del gioco, è stato consulente di AAMS per lo sviluppo della regolazione del gioco online. È managing partner di Carboni&Partners ed assiste molti operatori del gioco italiani e stranieri per l’ingresso sul mercato italiano e per lo sviluppo del business. A lungo consulente di management e manager in grandi aziende, per AAMS si è occupato principalmente dello sviluppo del modello italiano e della regolazione del gioco online. Dal 2008 assiste molti operatori del gioco italiani e stranieri per l’ingresso sul mercato italiano e lo sviluppo del business.