Ripensando l'EPT di Vilamoura - Parte 2
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Qualche ora di riposo e si riparte per il Day2. Mi sento abbastanza carico e il mio stack di circa 60000 chips mi consente di avere un margine discreto per vedere gioco e aspettare le carte giuste.
Purtroppo però già nella prima ora perdo due “coin flip” consecutivi contro giocatori shortstack, uno con in mano JJ contro AK, l'altro con in mano AQ contro coppia di 10. Anche se la possibilità di eliminare un avversario e il fatto di rimanere ancora dentro al torneo anche in caso di sconfitta lì per lì mi siano sembrati il ragionamento giusto, ripensandoci bene forse quest'ultima mano avrei anche potuto foldarla preflop sul controrilancio dell'avversario, dal momento che il mio AQ avrebbe potuto essere nettamente dominato; ma soprattutto perché dopo aver perso il primo coin flip il mio stack era sì già stato intaccatom ma mi rimanevano ancora abbastanza chips per giocarmi con calma il torneo, mentre perdendo anche il secondo mi sarei ritrovato io in situazione decisamente short.
E così è infatti, perse tutte e due le mani precipito a circa 20000 chips. Adesso si fa dura, inizia un altro torneo per me, con la necessità di trovare carte importanti in tempi abbastanza ridotti, per non vedere lo stack ulteriormente intaccato dai bui.
Tuttavia con bui 500/1000 e ante 100, uno stack di 20000 consente ancora un po' di gioco, ovvero qualche raise preflop prima di essere obbligati a mandare tutto. Per me la “deadline” è uno stack pari a circa 10 volte il big blind, dopodiché ci si trova in una situazione “committed”, per cui l'all in diventa obbligatorio. Scendere al di sotto dei 10 big blind diventa problematico, perché a quel punto lo stack è così ridotto che l'all in diventa meno pericoloso per gli avversari che tendono inevitabilmente a chiamarlo (con il rischio che siano più di uno a farlo e quindi maggiori probabilità di perdere) e anche meno redditizio in caso di vittoria.
Dall'altro lato andare in all in con uno stack ancora così giocabile potrebbe significare non capitalizzare le mani buone.
Con questo tipo di ragionamento normalmente approccio queste situazioni di torneo; poi ovviamente bisogna tenere conto del tipo di tavolo in cui ci si trova, ovvero se è “standard”, oppure se c'è qualche avversario con una netta propensione a chiamare con facilità (nel qual caso si può anche pensare di andare all in con uno stack giocabile, nella speranza di un call e di un sostanzioso double up), oppure è molto “tight”-conservativo (per cui si può provare ad ampliare il range di mani con le quali rubare i bui), oppure è molto aggressive (in questi casi estremi si può provare qualche “tricks”, come ad esempio limpare preflop con AA o KK, aspettare il successivo raise di qualche avversario e poi mandare tutto).
Così facendo nelle successive due ore di torneo riesco a raggranellare qualcosa, ma si sa tra la teoria e la pratica a volte c'è un po' di distanza. Se non altro ci sono di mezzo le carte e praticamente ne vedo pochissime, fino a che i bui sono ormai 800/1600 e ante 200 e lo stack a circa 21000.
A questo punto la situazione è difficile. Al massimo ho ancora un raise x3 a disposizione, e poi, se va male, sono committed. Ma soprattutto c'è un altro fattore che è molto importante tenere presente in queste situazioni: l'orologio dei livelli!
Mi giro, controllo sullo schermo e, come prevedevo, mancano pochi minuti al livello successivo, cioè 1000/2000 che praticamente mi obbligherà a giocare un all in preflop alla prima mano buona.
E' a questo punto, con questi pensieri in testa, che il dealer mi serve Ac10c dalla posizione del bottone. Il giocatore under the gun fa un iniziale raise, chiamato da un altro in middle position, poi la palla arriva a me. Ci penso un attimo, so di essere sotto probabilmente ad entrambi, ma le considerazioni sul livelli e il poco stack rimasto, e soprattutto la possibilità di avere una mano che realizza un colore e quindi potenzialmente batte entrambi gli avversari, mi fa decidere per l'all in! Uno dei due folda, l'altro chiama mostrando AK. Purtroppo, per me, il board è così liscio che di più non si potrebbe; e qui si conclude il mio EPT in Portogallo.
La giocata finale è stata decisamente aggressiva, ma per tutte le considerazioni effettuate credo proprio la rifarei. E' decisamente una di quelle giocate sulle quali conviene perdere un po' di tempo per rifletterci sopra a posteriori. Un consiglio che mi sento di dare a chiunque voglia avvicinarsi al poker in maniera seria è di dedicare sempre del tempo all'analisi delle giocate fatte, soprattutto dopo un torneo importante, e magari discuterne con gli amici giocatori. Avere una retrospettiva del proprio gioco fa la differenza tra chi vuole imparare, a qualsiasi livello, e chi invece si limita solo ad accusare la dea bendata.
Ritengo in ogni caso di aver giocato un buon torneo, anche se so di aver commesso qualche errore, ma mi sono sentito molto presente al tavolo, motivato e in grado di fare sempre le riflessioni necessarie prima di ogni giocata. E questo è per me molto importante. Degli errori, poi, si deve fare esperienza.
Con questo spirito metto da parte l'EPT del Portogallo e mi preparo per il prossimo, dove punterò ad essere ancora protagonista. Arrivederci tutti a Praga!