Showdown: Una Video Tesi Sul Poker
L'incontro tra il poker e il cinema conta centinaia di esempi in un sodalizio che vede le sue origini nel 1916, nel film muto The Thousand-Dollar Husband. Secondo IMDB sono ben 388 i film che raccontano il gioco del poker.
Negli ultimi anni film dedicati a questo affascinante gioco hanno rapito gli occhi anche di chi il poker non lo vive in prima persona. C'è chi invece, oltre ad essere uno stimatore del cinema e assiduo frequentatore dell'universo pokeristico, ha voluto usare questo gioco per una tesi in cinema all'Istituto di Cinema e Fotografia Albe Steiner di Milano.
Questo giovane diplomato si chiama Stefano Lacroce e ha scelto di sviluppare un aspetto molto delicato del poker: la dipendenza da gioco. Alla luce della nuova normativa, che obbliga le poker room ha pubblicizzare un gioco responsabile, questo documentario risulta attualissimo.
Affrontare e vivere il gioco del poker in modo sportivo e attento, senza avere timore di denunciarne i lati oscuri, fa certamente parte si una nuova volontà che ci auspichiamo sia sempre più condivisa da tutte le realtà coinvolte.
Stefano è un ragazzo che gioca a poker: “la mia passione per il poker nasce per puro caso. Io gioco a calcio e un mio amico mi ha avvicinato al poker live. Da due anni gioco sia live che on line. L'aspetto che amo di più del poker è quello psicologico, il controllo delle emozioni e la scoperta di quello che c'è dietro ad ogni persona che ho di fronte. Devi essere come i poeti maledetti o i simbolisti, devi elevarti e saper interpretare segni e simboli, il non verbale.”
Ho chiesto a Stefano di illustrarci brevemente di cosa tratta la sua ricerca. Ecco cosa ha risposto: “La mia ricerca sul poker tratta lo sviluppo a livello mondiale e la diffusione velocissima e capillare che questo gioco ha avuto in questo ultimo periodo, anche grazie a Internet. Ho voluto mettere a fuoco un aspetto non positivo di questa realtà, non per condannare questa pratica, ma per far emergere ciò che spesso viene celato: la dipendenza di molte persone, che con il gioco hanno perso tutto.”
Stefano ha cercato di rappresentare, attraverso immagini ed interviste, l'aspetto psicologico dell'uomo che ama giocare e l'ha fatto partendo dalla spiegazione della struttura e delle regole del poker.
Con l'aiuto di uno psicologo si è spinto oltre cercando una definizione dell'azzardo. Lui stesso dice: “Attraverso le parole di uno psicologico abbiamo spiegato come l'uomo sia naturalmente spinto al gioco. E' un istinto naturale quello di conoscere e scoprire, sperimentare e rischiare. L'azzardo è legato alla scoperta, quando si arriva all'azzardo estremo, ci sono in atto vere e proprie patologie, anche riallacciabili alle particolarità di ognuno di noi. Alcuni studi dimostrano che giocando si genera adrenalina che produce piacere sia fisiologico che mentale. Quindi inconsciamente tu continui a richiedere sempre più questa sostanza. Secondo me, molto è dovuto ai modelli che la Tv e non solo ci veicola. Il problema della dipendenza colpisce in egual misura sia le donne che gli uomini, è una pulsione senza genere. Si creano all'interno della persona dei modelli a cui ci si ispira. Da molte interviste emergeva la voglia di raggiungere posizioni sociali più elevate. Per esempio, vediamo James Bond che gioca a Casinò Royal e vogliamo fare quello che fa lui, pensiamo che noi siamo come lui. MA E' UN FILM E NESSUNO SI FA MALE”
La conclusione del documentario è costruita da una serie di interviste rivolte ad ex giocatori, ora in disintossicazione nella Casa di cura privata Betulle in provincia di Milano.
Ho chiesto a Stefano quale quadro si è configurato al termine del documentario e quali sono state le storie più dure: “Un quadro significativo! diciamo che gli italiani di media spendono 1700 euro all'anno per il gioco (non solo per il poker) e questo perché, secondo me, la legalizzazione proposta ha reso ancora più pericoloso questo meccanismo. Non parlo del poker live, che resta un' opportunità di socializzare, ma per i video poker, Bingo ecc. Nel live, tu sei a contatto con altre persone, non con una macchina che pensa con un codice binario. Per quanto riguarda le storie, tutte rappresentano crudelmente altissimi livelli di disperazione. Gente che ha perso lavoro e famiglia, dignità e rispetto. Mi è rimasta impressa una ragazza che mi ha raccontato che l'umiliazione più grande era sentirsi dipendente da una macchinetta.”